giovedì 12 maggio 2016

Intervista a Vittorio Zoboli: Eddie Jordan, la F1 e gli... sponsor mancati

È quasi arrivato a coronare il suo sogno, ma una manciata di dollari in meno lo ha fermato. Vittorio Zoboli, bolognese classe '68, è stato collaudatore della Jordan nel biennio '93-'94 ed è salito anche sulla Forti prima di passare alle GT, con una carriera nel motorsport che è stata più significativa di quanto non dicano le statistiche.



Da qualche anno Vittorio ha appeso il casco al chiodo e non è intenzionato a cambiare idea, anche se non gli dispiacerebbe ritornare - in altri ruoli - nell'ambiente che ha lo accompagnato per tantissimi anni. L'ultimo progetto a cui ha partecipato (fino al 2013) è stato con Lamborghini, in qualità di General Manager del Supertrofeo.



Tutto, comunque, era cominciato alla pista di Vado, a due passi da Bologna...
«Mio padre mi portò a vedere una gara di kart, avevo 10 o 11 anni. Mi venne una voglia incredibile di provarne uno anch'io... Una volta convinto lui, mi sono lanciato nelle corse in un periodo che poi si è rivelato straordinario per la presenza di tantissimi validi piloti: Sospiri, Morbidelli, Colciago, Giovanardi, Tamburini, Zanardi e ancora molti altri. Soprattutto con Sospiri mi ricordo tante battaglie al vertice. E mi ricordo che in una gara con i 100cc a Kerpen arrivai pure davanti a Michael Schumacher...»

Nel 1986 arrivò la vittoria nella F4 italiana.
«Ero nel team BLM e fu una bella stagione, una grande esperienza per tutti. Tuttavia l'anno precedente ci fu un episodio che - in un certo senso - rese ancora più felici i miei sponsor. All'autodromo di Imola il team fece salire sulla mia monoposto il giovanissimo Jacques Villeneuve, per un breve test. Una perfetta operazione di marketing che richiamò l'attenzione del mondo intero. La foto della mia macchina fu vista dappertutto...»

La F4 guidata nel 1986...

...E quella del 1985, con Jacques Villeneuve nell'abitacolo


Nel biennio '88-'89 corsi in F3.
«Era un bell'ambiente sia dentro sia fuori gli autodromi. Nel 1988 ero appunto esordiente con il team Cevenini ma riuscii a battere altri rookie come Schiattarella e Zanardi. Il titolo lo vinse Naspetti con la Forti, team con il quale ero riuscito ad accordarmi per la stagione successiva. Tuttavia fu una stagione deludente per me: io non mi sentivo a mio agio e il mio compagno di squadra Morbidelli, che poi vinse, aveva sicuramente più appoggio. Molti altri piloti, oltre a sfidarli in pista, li incontravo anche in caserma nella Bersaglieri Atleti. Sicuramente eravamo più legati tra di noi rispetto a quanto accade ai giorni nostri nelle categorie minori».

L'anno dopo ti sei trovato in Inghilterra, per correre la F3000 locale.
«Sì, un'esperienza davvero bella. A metà 1989 avevo conosciuto Enrico Zanarini; dopo pochissimo diventò il mio manager, e fu proprio lui a trovare i contatti e ad avere l'idea del passaggio oltremanica. Quella serie costava notevolmente meno dell'Internazionale ma credo che il livello non fosse minore. E inoltre notai la differenza di mentalità verso i piloti: là ti ascoltano sempre e hanno una grande considerazione. La stagione fu ottima, andai forte e conclusi il campionato al 5° posto. Enrico gestiva anche Naspetti e Irvine, che correvano già per Eddie Jordan nell'Internazionale, mentre io correvo per la GA Motorsport; ma in sostanza ero comunque sotto l'ala protettiva di Jordan. E non solo: io, Emanuele e Irvine vivevamo in un appartamento di Jordan a Oxford e in quell'anno fu un delirio. Spesso scendevamo a Londra, e andavamo per locali fino a tardi, prendendoci una libertà che a Oxford non ci saremmo potuti permettere visto l'atteggiamento locale da "coprifuoco". Ovviamente confermo tutto quanto si è detto di Irvine sulle sue conquiste...»




Che tipo è Eddie Jordan?
«Bèh, lui è stato sempre molto gentile con me e mi ha trattato molto bene. Gli piace scherzare e aveva un ottimo feeling con tutti i componenti del team finché è stato nelle sue mani. Grande personaggio e anche geniale negli affari, perché è riuscito a vincere partendo da zero. Purtroppo, quando giunse il momento di sostituire Eddie Irvine nel 1994 (dopo che si fece squalificare per tre gran premi), non si concretizzò nulla per me perché Jordan all'epoca aveva bisogno di piloti con più budget. Il mio si era notevolmente ridotto dopo il 1992 per via di Tangentopoli. Alcuni dei miei sponsor furono direttamente coinvolti e chiaramente chiusero i rubinetti appena ci furono le prime indagini e i primi arresti. Fu un brutto momento per il mancato esordio, ma devo dire che capisco anche il punto di vista di Eddie, che doveva far andare avanti il team».




Nel 1993, tuo primo anno come collaudatore Jordan, tentasti nuovamente l'avventura nella F3000 Internazionale (dopo un 1992 a metà classifica) con il team Il Barone Rampante.
«Anche in quel caso, tutto finì molto malamente. Io corsi solo 3 gare, poi a Spa sequestrarono il team e tornammo a casa. Pesarono ancora le conseguenze di Tangentopoli. Non ho un buon rapporto con quella storia...»

Cosa ti rimane della tua carriera da collaudatore in F1?
«Ho provato la Jordan e la Forti, ma devo dire che la Jordan aveva una marcia in più. La Forti ogni due giri si fermava e non c'era verso di farla correre, soprattutto per via del gap tecnico rispetto agli altri.. Oltre al Motorshow, che è stata la manifestazione celebre a cui ho partecipato, ho collaudato la Jordan soprattutto in Inghilterra. Le due vetture del '93 e del '94 erano fantastiche. Di loro mi stupì soprattutto l'impianto frenante, che era impressionante. Mi ricordo che al primo colpo di pedale andai a sbattere contro il rollbar da tanto era stata violenta la decelerazione. Rispetto al '93, quando avevamo aiuti elettronici grazie ai quali potevamo dosare l'accelerazione, nel '94 la vettura era certamente più instabile. Infatti in quell'anno, oltre agli incidenti di Senna e Ratzenberger, in tantissimi si fecero male. Era il segno che qualcosa non era andato per il verso giusto dal punto di vista regolamentare».





Poi sei passato alle Gran Turismo...
«Ho corso inizialmente con la F40 del Jolly Club, insieme a Luca Drudi, nel Global GT Championship. La F40 era una macchina bellissima, ma dal punto di vista dello stile di guida ci misi un po' a ingranare dopo anni di monoposto. In seguito ho corso nel FIA GT con la 550 Maranello e con il primo trofeo Lamborghini - c'erano le Diablo - organizzato da Stephane Ratel. Mi dispiace non aver portato a termine il mio tentativo alla 24 Ore di Spa 2002, corsa alla quale mi ero iscritto con David Halliday, Philippe Alliot e Francois Jakubowski. Si ruppe la trasmissione, in effetti. Ma mi ricorderò sempre della bellezza della colorazione della macchina, blu Gauloises con inserti argentati».




Per quale motivo avevi scelto le vetture GT?
«In realtà non scelsi io, ma... gli sponsor. Quelli che avevo all'epoca mi avevano chiesto la presenza in quel tipo di campionato, con in un certo senso l'obbligo a scegliere una vettura italiana. Insomma, l'obiettivo era di accomunare a livello di marketing i diversi marchi italiani, ma ciò mi precluse altre scelte. Della Porsche non volevano nemmeno sentirne parlare, per dire.... E poi non mi sarebbe dispiaciuto partecipare a qualche campionato turismo, ma all'epoca quelli erano i vincoli che avevo accettato e va bene così. Ora non ho più voglia di rimettermi a correre...»

Hai corso insieme a tanti altri forti piloti; quale ti ha impressionato di più?
«Vincenzo Sospiri secondo me era uno che poteva arrivare in alto. Aveva qualcosa in più e nella sua carriera è stato certamente sfortunato. Poi non saprei in realtà dirti qualcuno che si stagliava sopra gli altri. In F1 andavano avanti gli stranieri perché avevano più budget. Barrichello ad esempio era pieno di soldi... E altri sono arrivati nonostante a inizio carriera fossero fermi, come ad esempio Frentzen».

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