martedì 19 aprile 2016

Intervista a Andrea Baiguera: Passione vera e voglia di lottare

Parlando con Andrea Baiguera ho sentito, oltre alla sempre coinvolgente cadenza bresciana, il calore del vero appassionato. In effetti Andrea, nato nel 1992 e in pista dal 2010, è cresciuto in mezzo a tanto motorsport, grazie alla passione del papà Angelo e alle assidue frequentazioni dei paddock italiani ed europei. Una vita nomade che Andrea, studente di architettura, ha sempre preso con il gusto dell'avventura, e che si accinge a continuare anche nel 2016 con l'approdo nella Lotus Cup italiana, gestita come sempre da Stefano d'Aste.




Partiamo dal presente, Andrea. Il progetto Lotus Cup procede bene...
«Sì, finalmente ho trovato un campionato interessante che si adatta bene al mio budget! Mio padre e Stefano si conoscevano per altro da molti anni e spesso ho corso in concomitanza con la Lotus Cup in passato, quindi è un ambiente che conosco. La Elise sembra addirittura un formula, e con il motore posteriore è molto divertente anche da guidare. Attualmente speriamo di poter dire la nostra con le risicate risorse che ci possiamo permettere, ma la macchina va forte e ovviamente vogliamo essere competitivi. Spero di aver fatto la scelta giusta!»




Non è la tua prima esperienza con le ruote coperte, in realtà.
«La prima volta assoluta è stata con la Megane Trophy, quando mio padre, alla sua ultima corsa nel 2011, volle gareggiare dividendo il volante con me. Eravamo a Barcellona, e io all'epoca non conoscevo né la macchina né la pista, ma fu divertente. Poi ho fatto un test con la Porsche Carrera Cup nel 2014 per me molto positivo. E pensare che all'arrivo mi ero chiesto del perché fossi lì: c'erano Fumanelli, Agostini, Ceccon... Insomma, nomi più altisonanti del mio! In ogni caso è stata una bella giornata, e devo ancora ringraziare Antonelli Motorsport e pure Stefano Comini per i consigli che mi aveva dato per l'occasione. Lui è uno che va forte».




Puoi vantare tanti anni d'esperienza nella F.Renault che potrebbero tornarti utili anche quest'anno. Che cambiamento ti aspetti nel passaggio dalle ruote scoperte a quelle coperte?
«Come cambiameno mi aspetto contatti e sportellate! In realtà la guida della Lotus ricorda molto quella della F.Renault, e quindi non penso che dovrò cambiare troppo lo stile di guida. Ripeto, credo che sarà un lotta più di muscoli ed è un fattore positivo perché io sono cresciuto guardando il Superturismo, dove tutti erano sempre con il coltello tra i denti. Noi siamo tutti veramente carichi e non vediamo l'ora di girare insieme agli altri».

La tua passione è nata con il Superturismo, quindi.
«Le gare turismo le ho sempre seguite, fin da quando avevo tre anni. Seguivo mio padre nel CIVT e per me era il paradiso. Mi ricordo che nel team ufficiale Audi avevano messo insieme una macchina elettrica per tirare le gomme con le fattezze dell'A4 dell'epoca, e io diventavo scemo ogni volta che la vedevo. Ora mi piace molto il TCR e infatti durante l'inverno mi sono interessato per un'eventuale partecipazione al Campionato Italiano che poi non si è concretizzata. Per altro questo campionato è il futuro: a quanto ho capito costa un quarto rispetto a una vettura per il WTCC, è più facile da gestire e di conseguenza è alla portata di molti più piloti. Inoltre le macchine sono gestite da privati e quindi tutti i team hanno delle possibilità, cosa che magari non accade con le case ufficiali. Se sapranno far valere il prodotto metteranno in seria difficoltà il WTCC».

Prima della F.Renault non hai vissuto momenti kartistici significativi...
«Parlavi di passione, prima? Ecco, ho rischiato di perderla all'età di 4 anni, quando mio padre mi mise sul kart in un piazzale di un supermercato. Lui ebbe la brutta idea di farmi sedere con il kart già acceso, e una volta seduto accelerai immediatamente, senza avere idea di come funzionassero i freni. Non so come ma riuscii a schivare le macchine parcheggiate, colpii inutilmente due panettoni spartitraffico e tornai indietro, fermandomi infine contro un cancello di ferro, nonostante il tentativo di placcaggio da parte di mio padre. Non andò bene: lui si ruppe un polso e io presi una bella botta in testa... Mia madre non fu contenta, diciamo... e quindi di conseguenza, salvo fare qualche garetta ogni tanto tra amici, non sono praticamente più salito sul kart. Ho esordito direttamente in F.Renault una volta compiuto 18 anni».


Andrea Baiguera in vettura, al suo fianco papà Angelo


La F.Renault rischia seriamente di scomparire. Non c'è già più la ALPS, chiusa quest'anno. Al contrario, la F4 prospera in tutta Europa. Tu come la vedi?
«Mah, in sostanza sta cambiando il mercato. Ci sono dei cicli. Mi ricordo ad esempio la F.Abarth, con oltre 50 iscritti e nemmeno lo spazio in griglia per farli stare; ora quella serie non esiste più. Auguro a quelli della F4 di non fare gli stessi errori. L'Alps è morta proprio per l'ascesa della F4, che attualmente è molto visibile, ha dei premi interessanti ed ha anche un maggior peso in termini di punti per la superlicenza. Anche la F3 Europea ne ha risentito, ma con l'appoggio della FIA potrà sopravvivere ancora.
La F4 è un buon prodotto, ma gli organizzatori devono evitare di mangiarci sopra, altrimenti faranno appunto la fine della F.Abarth. Loro alzarono i prezzi seguendo la richiesta, con aumenti anche ogni weekend, costi salatissimi per le gomme e tante altre storture che non sono andate giù ai team che rischiavano di saltare per aria. Alla fine poi cosa è rimasto di questa voglia di guadagno? Una marea di macchine da vendere e tante figuracce...»




Ci lamentiamo spesso, noi italiani, che non ci sono nostri connazionali in F1 e che nei nostri campionati non ci siano abbastanza macchine. Qual è il tuo pensiero?
«Da ogni punto guardi la questione, c'è sempre una motivazione economica. I piloti stranieri, molti dei quali sono davvero forti, hanno semplicemente più budget e quindi possono trovare sedili più validi. In GP2 abbiamo dei talenti come Giovinazzi, che è uno con un bel piede, ma anche lui farà fatica senza i soldi giusti. Il mercato del motorsport, in generale, fatica. Penso solo al già citato Stefano Comini: quanta fatica ha fatto per approdare finalmente a un ingaggio?
Per quanto riguarda i nostri campionati credo che alla fine abbiamo troppi campionati con poche macchine. Io correrò in un monomarca e la speranza è di arrivare almeno a 15 vetture, ma salvo il Campionato Italiano GT sono tutti in queste condizioni. O sfoltiamo un po', oppure vanno aggregate categorie che possono stare bene assieme, come nel caso di ACI e Peroni che fanno correre magari le stesse macchine, 10 di qua e 10 di là...»

La nuovissima generazione di piloti ha un approccio diverso rispetto al passato, e tu sembri far parte più della categoria dei piloti vecchio stile.
«Le ultime generazioni sono davvero molto diverse. A me piace molto fare squadra, stare con i meccanici, girare per il paddock e gustarmelo fino in fondo. Ho la fortuna di avere un padre che conosce bene o male tutti, e quindi me ne ha presentate tantissime. Alcuni mi dicono addirittura che si ricordano di quando ero un bambino piccolo, quando ti dicono "eri alto così"... Per me correre è anche una questione di stacco: attacco il carrello al fuoristrada, vado nel paddock, monto la tenda, aiuto i meccanici e poi faccio quello che mi piace, cioè scendere in pista. Invece i miei colleghi dell'ALPS non li vedevo praticamente mai nel paddock. Sono giovanissimi ma hanno già un obiettivo in testa, e infatti vanno in pista, poi stanno con l'ingegnere, poi vanno sul camion, e poi in albergo o con il preparatore atletico. Sono professionisti, per carità, ma se poi perdono il divertimento è inutile!»




Un atteggiamento, il tuo, che si sposa con la nostalgia di molti.
«Vero, sono nostalgico anch'io. Voglio dire che è bello arrivare con il bilico in circuito, non lo nego, ma certe esperienze alcuni non le vivranno mai. Come quella volta che siamo andati a Spa, 1000 km con una multipla, tutti i bagagli dietro e io schiacciato come una sardina per tutto il viaggio. A Barcellona una volta ci rubarono il furgone, un'altra volta presero il camper. In una di queste occasioni corsi con il casco di Christian Pescatori e la tuta e i guanti prestati da altri ancora. A Nogaro ci rubarono pure la macchina, una Clio con la quale dovevamo correre l'Europeo: mai più trovata... Senza contare anche tutti quei momenti positivi passati insieme semplicemente sotto la tenda del paddock».

In che epoca automobilistica ti sarebbe piaciuto vivere?
«Nei primi anni '90. C'era l'ITCC, il Superturismo nel suo picco, la F1 con il cuore in gola. In quell'epoca mi sarebbe piaciuto correre sia in Italia sia fuori, con quelle macchine straordinarie. Credo che in F1 nei primi anni '90 ci siano stati i più grandi campioni: Mansell, Prost, Piquet, Senna, Schumacher e Hakkinen, per cui avevo una predilezione. C'erano i motori liberi, V12, V10 e V8 tutti insieme e tutti in grado di vincere i GP. E poi c'era più umanità: altrimenti come avrebbe fatto Minardi a costruire una squadra di qualità con 4 spiccioli?»

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