mercoledì 24 febbraio 2016

"Tino Brambilla: Mi è sempre piaciuto vincere". La recensione del libro di Walter Consonni

Prima di tutto, dico che fare un libro su Ernesto "Tino" Brambilla era doveroso. Walter Consonni, cioé l'autore del volume edito da Giorgio Nada intitolato "Mi è sempre piaciuto vincere", ha così colmato un vuoto generazionale. Chi ha visto Tino Brambilla in pista avrà riletto con piacere certi passaggi di questo libro, mentre chi è più giovane (il sottoscritto, ad esempio) ha potuto gustarsi ogni singolo aneddoto. Per chi è appassionato di motori è un tuffo nel passato e anche una ventata di aria fresca.



Tino Brambilla, il protagonista di questa biografia, è stato un personaggio centrale nell'epoca d'oro dell'automobilismo italiano e lombardo. Nella sua officina è passato tanto lavoro e sono state tante le personalità di spicco intervenute in un'esistenza vissuta davvero a gran velocità. I racconti, per altro dettagliati, danno l'idea di come fosse il mondo del motorsport tra gli anni '60 e gli anni '70, quando il fratello di Tino, Vittorio, correva in F1 con i colori Beta emozionando non solo il pubblico italiano ma pure quello inglese.

La storia di Tino parte dalle prime passioni: la bicicletta, la moto. Era un ragazzaccio, all'epoca, abituato a tiri birboni e riconosciuto come uno che non aveva paura di esternare le proprie idee. Questa coerenza di spirito lo ha accompagnato in tutta la carriera a due e quattro ruote, fedele alle proprie scelte e capace di clamorose rinunce, come nel caso del suo ritiro dalle competizioni a quattro ruote. Dal libro traspare un uomo senza sfumature di grigio, in grado di capire per sè stesso cosa fosse bianco e cosa fosse nero, e soprattutto non attratto dal passato. Tino Brambilla ha privilegiato in carriera il presente e il futuro, con quella fierezza delle proprie decisioni che solo gli ottimisti possono vantare.

La passione per la meccanica è il filo conduttore dell'intero libro, e l'officina di via Birona il punto centrale da cui sono partite molte scintille di vita. Nelle 278 pagine effettive di narrazione viene rappresentato al meglio il Tino Brambilla meccanico, talentuoso e altruista, anche quando al capezzale delle sue riparazioni arrivano gli avversari più veloci. Con uno spirito divertente e divertito, "il Tino" racconta dei lunghi viaggi con camioncini sgangherati verso piste lontane (come Pergusa, ad esempio), e dello strano rapporto con Enzo Ferrari, rimasto sempre cordiale ma mai sfociato in una grande amicizia. Enzo Ferrari vedeva in lui un collaudatore straordinario, ma come è accaduto per molti altri piloti non lo ha mai messo davanti agli interessi della scuderia. In fondo, pure lui era un duro fedele verso i propri ideali.



C'è spazio anche per il racconto spaventoso della tragedia di Caserta (in occasione della gara di F3 in cui persero la vita lo svizzero Fehr e gli italiani "Geki" Russo e "Tiger" Perdomi) e delle sue assurde conseguenze in termini sportivi; per i ricordi dei guasti, ancora intrisi di disappunto; per le orgogliose vittorie, che contribuirono a farlo diventare uno dei piloti più rispettati dell'epoca.

Una parte corposa del libro è dedicata alle amicizie monzesi, e al rapporto con l'amato fratello Vittorio. Si trattava di una Monza assai diversa da quella odierna, dove i momenti di incontro e di svago erano sinceri. Una nostalgia che fa intendere come una personalità del calibro di Brambilla fosse un punto di riferimento (tra i tanti) dell'intera cittadina.

Interessante l'idea di raccontare il libro come se fosse un viaggio sempre più profondo nella personalità di Tino, anche se talvolta la linea temporale si perde di vista. Consonni fa capire nei primi capitoli che in realtà quest'opera non è di facile attuazione, visto il carattere del protagonista, più incline a far parlare le brugole che a perdersi nel viale dei ricordi. La narrazione perde man mano questa caratteristica, trasformandosi quasi più in un'intervista lunga.

Purtroppo, questo libro non è perfetto. La prima critica, più formale ma non per questo meno importante, riguarda la battitura del testo. Sono molti gli errori, e di diverso tipo. Si possono individuare casi "da tastiera" non così grossolani, forse dettati da una rilettura poco attenta o sbrigativa. Ci sono però scelte verbali non convincenti e in generale alcuni periodi mancavano di contesto, magari anche solo per una virgola fuori posto. All'inizio del libro Consonni fa cenno a un timing ristretto da seguire per la consegna del manoscritto, e mette le mani avanti anche su eventuali errori. Una frase che all'inizio mi aveva fatto sorridere per l'insita modestia, ma che poi al voltare dell'ultima pagina ha cambiato decisamente aspetto.

È un peccato che la cura formale del testo sia passata in secondo piano rispetto al contenuto. Chi legge libri sa che basta un nulla per rendere la lettura difficoltosa. Bastano due errori nel raggio di poche pagine per disamorarsi dello stile. Mi rendo comunque conto che l'era dei correttori di bozze è finita, perché altrimenti non avrei scritto questi due o tre paragrafetti ma mi sarei fatto maggiormente coinvolgere dalle straordinarie avventure del "Tino".

Arrivo alla conclusione di questa recensione sostenendo che sono felice di aver acquistato questo libro, principalmente perché Ernesto "Tino" Brambilla è un personaggio enorme della storia dell'automobilismo italiano. Mi ero pregustato tanti bei racconti di vita e sono stato accontentato. E il merito va anche a Walter Consonni, per aver raccolto - seppur con le critiche sopra descritte - testimonianze che altrimenti sarebbero andate perdute.


1 commento:

  1. Purtroppo sono d'accordo col recensore. Dico purtroppo perché da Giorgio Nada mi aspettavo un altro livello qualitativo e ho ingenuamente acquistato il libro a scatola chiusa, senza sfogliarlo. Lo avessi fatto, lo avrei lasciato lì. Pro: l'autore conosce davvero bene Brambilla, che pare essere un personaggio non facile e forse con altri non si sarebbe aperto. Il libro è scritto con passione. Contro: lo stile di scrittura è prolisso, denso di riferimenti personali (dell'autore) che poco interessano, il tono è continuamente adorante e teso ad esaltare la figura del pilota più che a indagare. Riferimenti tecnici zero. Ad esempio, la famosa frase sulla Ferrari 512 che sembrava un tram è riportata, ma non si fa parola di cosa esattamente non andasse. Idem per l'episodio del Gran Rifiuto a Monza. Leggendo il libro sembra che su una macchina da corsa si salti su, si accenda e si vada; Brambilla, meccanico per tanti anni, avrebbe potuto raccontare probabilmente molto di più. E invece quello spazio è stato usato per raccontare le serate al bar. Peccato.

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